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Tutto quello che bisogna sapere sugli allevamenti di bovini


I bovini usati dall’industria della carne sono milioni in tutta Europa. Il loro allevamento provoca sofferenza estrema e gravi danni per l’ambiente in cui viviamo

Gli allevamenti di bovini allevati per la loro carne sono una delle forme di allevamento intensivo più tristemente famose, protagoniste di alcuni dei più importanti documentari-inchiesta (come Cowspiracy) e di numerosi report internazionali che ne mettono in evidenza tutti i limiti.

Qualunque genere di allevamento intensivo ovviamente è terribile per gli animali e spesso nocivo per l’ambiente, ma tutti questi aspetti diventano ancora più mostruosi se analizzati nel contesto della cosiddetta “bovinicoltura”.

Nonostante l’avanzare di alternative vegetali come gli hamburger di Beyond Meat, gli allevamenti di bovini infatti sono ancora molto diffusi in Italia e nel mondo, in particolare negli Stati Uniti e in buona parte del Sud America.

I numeri degli allevamenti

Secondo i dati più recenti pubblicati da Eurostat, quasi la metà degli animali allevati nell’Unione europea nel 2020 era costituita da bovini (76 milioni), circa il 30% da suini e circa il 15% da polli. L’Italia è tra i paesi Ue con una densità di allevamenti sul territorio che supera la media europea e al terzo posto dopo Germania e Francia per la maggiore produzione di carne in Europa.

In particolare, poco più di un quinto di tutta la produzione di carne bovina dell’Ue proveniva dalla Francia (20,9%), seguita da Germania (15,8 %), Italia (11%), Spagna (10,6 %) e l’Irlanda (8,7 %). Le ricerche mostrano tuttavia che, mentre livello di produzione di carne suina è aumentato del 9,4 %, la produzione di carne bovina è diminuita del 7,4% tra il 2006 e il 2021.

Nel corso di questo calo si è tuttavia registrato un aumento delle mucche mandate al macello (+4%) tra 2015 e 2016, probabilmente a causa della cessazione delle “quote-latte”, quel sistema europeo che permetteva ai produttori del settore lattiero-caseario di ricevere incentivi e sussidi al di là della reale vendita dei propri prodotti, una situazione che ha spinto molti piccoli produttori a passare da questo settore all’allevamento di bovini esplicitamente destinati alla macellazione per il consumo della loro carne.

Il sistema dell’allevamento intensivo dei bovini

Esistono due tipologie differenti di bovini che vengono allevati per la loro carne.

Da un lato i bovini adulti (i manzi), ovvero quegli animali che sono stati appositamente selezionati per la produzione di carne rossa.

Dall’altro lato invece ci sono i vitelli, per lo più i figli delle mucche da latte sfruttate all’interno dell’industria lattiero-casearia, allevati per pochi mesi per essere poi macellati, perché in quanto maschi non possono essere riutilizzati dall’industria del latte.

Gli allevamenti di bovini da carne funzionano quasi tutti allo stesso modo: si tratta di allevamenti intensivi con un’altissima concentrazione di capi ammassati all’interno di stalle innaturali, l’unico ambiente che questi animali conosceranno. La maggior parte di loro sarà privata per l’intera vita del contatto naturale con l’erba e terreni più soffici.

I bovini, esattamente come tanti altri animali da reddito, hanno dovuto subire un’intensa selezione genetica: l’obiettivo infatti è rendere il corpo di questi animale sempre più profittevole, ed è per questo che gli allevatori hanno sviluppato specie che nel corso degli anni hanno aumentato in modo esponenziale il peso corporeo, passando negli Stati Uniti dalle 400 libbre (circa 180 kg) del 1975 alle 600 degli anni 2000, e cioè a più di 270 kg.

Oltre a questa disperata ed estrema selezione genetica, altri fattori hanno contribuito a trasformare il corpo di questi animali: in particolare i mangimi, che vengono creati appositamente per far aumentare velocemente il peso corporeo degli animali da reddito.

All’interno degli allevamenti intensivi, il procedimento di preparazione alla fase di ingrasso funziona sempre nello stesso modo e attraversa due fasi principali e molto traumatiche per i bovini: il taglio delle corna e la castrazione.

Il taglio delle corna (o “decornazione”, avviene anche per le mucche) viene praticato con la tecnica della cauterizzazione allo scopo di evitare incidenti fra gli animali e problemi con gli operatori che lavorano negli allevamenti. Si tratta di una procedura estremamente brusca e spesso effettuata senza alcuna anestesia: il dolore che ne deriva è lancinante e cronico, e può durare per mesi.

Diversi studi, tra cui uno pubblicato nel 2013 dalla British Columbia University, hanno inoltre dimostrato come questa procedura abbia un impatto profondamente negativo sui processi cognitivi dell’animale: la sofferenza e il dolore accumulato durante questa pratica nonostante l’anestesia (spesso efficace solo in parte) diventano quindi un ricordo negativo traumatico che li rende più pessimisti.

Per quanto riguarda invece la castrazione, essa viene ritenuta necessaria solo in alcuni casi sempre con lo scopo di prevenire conflitti e aggressività, dovrebbe essere praticata con anestesia da un veterinario. Nonostante questi palliativi suggeriti dall’industria, rimane una pratica molto violenta ed umiliante per i bovini maschi.

I vitelli

I vitelli meritano un discorso a parte, perché sono sì bovini sfruttati e uccisi per il consumo della loro carne, ma sono di fatto un sottoprodotto del sistema perverso dell’industria lattiero-casearia, che non sapendo come utilizzare i nati di sesso maschile li “investe” nell’industria della carne.

Circa sei milioni di vitelli vengono allevati in Europa ogni anno. I maggiori produttori sono la Francia (con quasi un milione e mezzo di vitelli), l’Olanda (un milione e mezzo) e l’Italia (quasi 800mila vitelli).

Spesso i vitelli vengono costretti a lunghi viaggi all’interno dei confini europei, anche perché molti paesi, come il Regno Unito, non consumano la loro carne e quindi ne approfittano per venderla ad altri paesi.

Oltre a questi viaggi terribili e alla fine a cui sono destinati, i vitelli sono sottoposti a uno stress enorme, che cominciano al momento della separazione dalla madre: un fatto intuitivo ma confermato anche dalla scienza, grazie a uno studio condotto dagli scienziati canadesi che ha dimostrato come anche i giovani bovini soffrano e provino emozioni negative dopo la separazione dalla madre.

Lo svezzamento improvviso e precoce, come accade con i vitelli che vengono strappati alle madri per essere inseriti nell’industria della carne, è particolarmente stressante sia per i vitelli sia per le mucche. In questi casi infatti gli scienziati hanno osservato alcuni vitelli piangere disperatamente e senza sosta, altri reagire con forme di iperattività nervosa e altri ancora arrivare a rifiutare il cibo.

Come se non bastasse, la maggior parte della carne di vitello prodotta viene chiamata “bianca”, perché questi cuccioli sono costretti a una dieta quasi del tutto priva di ferro con il solo scopo di tenere chiaro il colore della carne e mantenere il gusto più leggero. L’ennesima violenza, con gravissime ripercussioni sulla salute di questi animali, per il puro sfruttamento alimentare.

L’impatto ambientale degli allevamenti di bovini

In aggiunta a tutti i problemi per il benessere degli animali e le continue mancanze di rispetto per la vita dei bovini, gli allevamenti intensivi presentano anche un problema enorme per quanto riguarda l’impatto ambientale.

Il problema è stato sollevato dalle Nazioni Unite già a partire dal 2006, in un report della FAO che mise in luce per la prima volta l’impatto dell’allevamento intensivo sul clima.

Sono passati molti anni, ma i dubbi sollevati dai ricercatori all’epoca sono ancora validi, anche perché, purtroppo, molte delle sollecitazioni contenute in quel report non sono state applicate.

Le diete a base di carne infatti sono una delle principali fonti di gas serra. Le attività agricole rappresentano il 24% di tutte le emissioni di gas serra ogni anno, e di queste l’80% è dovuto direttamente o indirettamente ad attività zootecniche, ossia quelle attività che possiamo chiamare allevamenti.

L’allarme lanciato dalla FAO è ancora attuale e ampiamente condiviso dalla comunità scientifica e dalle organizzazioni che si occupano di difesa dell’ambiente e di benessere animale, anche perché purtroppo l’impatto ambientale della carne non ha fatto che aumentare.

La richiesta di carne nei mercati ancora in via di sviluppo e densamente popolati, come India e Cina, e la mancata applicazione dei suggerimenti delle Nazioni Unite nelle aree dove la produzione di carne rossa è già molto elevata, come Europa e Stati Uniti, sono la causa principale di questa nefasta conseguenza sull’ambiente.

Uno degli aspetti più gravi causati proprio dall’allevamento intensivo di bovini è la deforestazione. Le foreste infatti sono il polmone verde del pianeta terra, ciò che permette al nostro ecosistema di funzionare e di assorbire anche i gas nocivi. Deforestare significa privarci quindi di uno strumento che permette di contenere i danni causati dalle attività umane che impattano negativamente sulla Terra.

La deforestazione, che investe in particolare le foreste tropicali del Sud America, dell’Africa Equatoriale e dell’Indonesia, ha molteplici cause, ma è in Sud America che è particolarmente legata agli allevamenti sia intensivi che estensivi di manzo.

Qui infatti – come dimostrato da tantissime investigazioni e dal lavoro incessante di attivisti disposti anche a rischiare la propria vita per difendere le foreste – vi è un progressivo impoverimento del suolo e dell’ecosistema, spogliato di alberi per guadagnare terreni da utilizzare per coltivazioni di soia, usata come alimento per gli animali allevati. e per gli allevamenti in generale.

Per tutti questi motivi, scegliere un’alimentazione 100% vegetale significa aiutare prima di tutto gli animali e l’ambiente, ma anche gli esseri umani.

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